Il settore della pulizia e della sanificazione, fondamentali per contenere il virus nell’ultimo anno di pandemia, ha registrato un aumento del +5% di imprese di pulizia, ma un calo generalizzato di fatturato.
Secondo i dati di Infocamere da luglio 2019, ad un anno esatto di distanza, con il mese di luglio del 2020 in piena pandemia, si è passati da 2.668 a 2.779 imprese, circa 197 quelle nuove, 86 hanno chiuso i battenti.
Un dato da sottolineare che nasconde una contraddizione: contrariamente al pensiero comune, le imprese di pulizia sono in sofferenza e non vengono considerate come settore in difficoltà. La concorrenza sleale e la scelta da parte dei clienti di ridurre i costi fanno sì che si ripieghi su pulizie in economia con le annesse criticità del “fai da te” in un settore così delicato per la sicurezza e la salute dei lavoratori e della clientela.
«Nell’ultimo anno si è verificata una vera e propria “invasione” di operatori poco qualificati sull’onda delle operazioni di prevenzione e rimozione del Covid – spiega Antonietta Campesato Portavoce regionale Imprese pulizie e disinfezione CNA Veneto – che ha messo in seria difficoltà le imprese esistenti con, ad esempio, il mancato rispetto dei contratti nazionali e il manifestarsi di fenomeni di concorrenza sleale e dumping contrattuale. L’improvvisazione ha portato ad una situazione difficile: operatori che non conoscono correttamente le procedure di sanificazione; che non hanno le competenze per gestire la situazione; che non conoscono i prodotti da utilizzare, e soprattutto che non dispongono delle giuste competenze per sapere, ad esempio, che la sanificazione viene fatta dopo una pulizia di fondo. In molti hanno “cavalcato l’onda” delle sanificazioni “inquinando” il mercato e declassando il mestiere.
Il nostro lavoro ha già problemi di concorrenza – prosegue Antonietta Campesato – ma ora siamo davvero nel pieno di una vera e propria guerra al ribasso dei prezzi che non aumenta la professionalità e non porta i costi a livello di retribuzione dignitosa per il personale. Stiamo tornado indietro di 40 anni: è sempre più difficile promuovere e vendere i nostri servizi, e non si riesce a comunicare che la nostra attività ha un grande valore per il benessere comune. Da quando è scoppiata la pandemia, ad esempio, mi sono dovuta battere per far capire la differenza tra sanificazione e disinfezione. Non sono la stessa cosa, anche se afferiscono ad una medesima legge oramai obsoleta. Manca quindi una cultura di base e molte imprese di disinfezione si sono convertite in imprese di pulizie e sanificazione, disorientando la clientela con gravi ripercussioni sul mercato. Serve un aggiornamento sui titoli per l’accesso alla professione – conclude Campesato – con l’introduzione del requisito di un’esperienza pregressa pluriennale di lavoro nel settore, per evitare che chiunque si possa improvvisare. Abbiamo tutti capito quanto sia importante il settore delle pulizie per la vita sociale e la convivenza con questa pandemia: perciò tuteliamo le imprese qualificate.»