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Presentato il Rapporto Nomisma «L’industria alimentare italiana oltre il Covid-19»

Bilancio di fine anno negativo, bene solo l’export

«Per effetto delle dinamiche innescate dal lockdown, tra cui il sostanziale blocco dell’Ho.re.ca, che rappresenta il 34% del totale food & beverage Italia, e delle incertezze legate all’evoluzione dell’emergenza sanitaria – dice la società di ricerche Nomisma di Bologna a varie testate giornalistiche – solo il 20% delle aziende prevede nel 2020 un incremento del fatturato in Italia e all’estero. Per il 15% il turnover sarà in linea con l’anno precedente, mentre per il 62% l’anno si chiuderà con una contrazione delle vendite: superiore al 15% per il 38% delle imprese».
I dati sull’andamento del giro d’affari confermano la previsione: -9,5% ad aprile (sullo stesso mese del 2019), -5,8% a maggio e -1,1% sia a giugno che a luglio.

Industria alimentare
L’industria alimentare genera il 20% del valore aggiunto della filiera alimentare. Tra il 2008 e il 2019 il valore aggiunto espresso dalle aziende di trasformazione è cresciuto del 19%, l’occupazione del 2% e le esportazioni sono aumentate dell’89%. Nonostante la buona tenuta, secondo il report redatto da Nomisma per Centromarca e Ibc, a fine anno il bilancio resterà negativo.
L’importanza dell’industria di trasformazione alimentare si è confermata nei primi sette mesi di quest’anno, quando le vendite al dettaglio di prodotti alimentari (+3,3%) hanno sostenuto anche l’attività della grande distribuzione (+4,4%) e delle piccole superfici (+3,9%).

Export
Anche per quanto riguarda l’export, i primi sette mesi evidenziano un risultato complessivamente positivo per l’alimentare italiano (+3,5%), rispetto al totale delle esportazioni. Il responsabile agroalimentare di Nomisma ha sottolineato che  «le diverse modalità adottate nel mondo, nei tempi e nell’applicazione del lockdown, hanno determinato performance differenti nell’export dei prodotti italiani, penalizzando principalmente quelli venduti nel canale Ho.re.ca.». Ecco spiegati allora il -4% nell’export di vino e il +25% della pasta.

Investimenti e frammentazione del settore
Negli investimenti prevale la prudenza: la mancanza di liquidità, le difficoltà di accesso al credito e la congiuntura negativa spingono il 38% delle imprese a rimodularli e il 31% a rinviarli.
È stato sottolineato il fatto che nel comparto si registra una marcata frammentazione: l’agroalimentare, infatti, è costituito essenzialmente da imprese di piccole dimensioni. Sono meno di 8 000 aziende, su 56 000 totali, le imprese che hanno più di nove addetti. Per aiutare le piccole imprese ad affrontare il mercato globale, ancora di più in questo periodo, si auspicano strategie di branding, piani per l’internazionalizzazione e progetti per l’integrazione delle tecnologie digitali.

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