Nella cessione della “licenza Taxi” vanno valutati tutti gli elementi presuntivi

Cessione licenza Taxi ed elementi presuntivi. In tema di imposte sui redditi, per la determinazione della plusvalenza realizzata con la cessione di una licenza per taxi, ove l’Ufficio si sia avvalso della prova a mezzo di presunzioni semplici ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973, il giudice è tenuto a verificare l’esistenza degli elementi assunti a fonte della presunzione e la rispondenza di questi ai requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge e la sussistenza di un rapporto causale, nonché ad accertare che il fatto da provare sia desumibile da quello noto, come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità e in base a regole di esperienza.

E’ questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, nell’ordinanza che segue:

Corte di Cassazione sentenza n. 17504 depositata il 31 maggio 2022 – In tema di imposte sui redditi, per la determinazione della plusvalenza realizzata con la vendita di una licenza per taxi, ove l’Ufficio si sia avvalso della prova a mezzo di presunzioni semplici ai sensi dell’art. 39, primo comma, d), del d.P.R. n. 600/1973, il giudice è tenuto a verificare l’esistenza degli elementi assunti a fonte della presunzione e la rispondenza di questi ai requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge e la sussistenza di un rapporto causale, nonché ad accertare che il fatto da provare sia desumibile da quello noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità e in base a regole di esperienza
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Corte di Cassazione sentenza n. 17504 depositata il 31 maggio 2022
prova per presunzioni – non è consentito al giudice di sopperire alle carenze istruttorie delle parti – plusvalenza realizzata con la vendita di una licenza per taxi – obbligo negli atti dell’Amministrazione finanziaria siano indicati “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”

Rilevato che:

1. L.F. impugnò dinanzi alla T.P. di Firenze l’avviso di accertamento notificatole in data 11 settembre 2009, con il quale l’Agenzia delle entrate aveva rideterminato in € 200.000,00 il valore della plusvalenza da lei realizzata con la cessione di una licenza di taxi, a fronte dell’importo di € 30.000,00 dichiarato in contratto, con conseguente maggiore imposizione ai fini IRPEF; a tanto l’amministrazione era pervenuta a seguito di accertamento su base presuntiva, ai sensi dell’art. 39, comma primo, lett. d), d.P.R. 29/09/1973, n. 600.

2. La C.T.P. accolse parzialmente il ricorso, riducendo il valore accertato all’importo di € 57.005,00, tassato a titolo di registrazione, nel difetto di prova circa il maggior valore rettificato; detta sentenza fu oggetto di appello principale dell’amministrazione finanziaria e di appello incidentale della L.F.innanzi alla C.T.R.

3. Il giudice d’appello, disposta d’ufficio l’acquisizione di informazioni alla Guardia di Finanza circa il costo medio di una licenza per taxi nel Comune di Firenze nell’anno 2004, accolse il gravame principale, respingendo quello incidentale.

In particolare, la C.T.R. osservò che il corrispettivo indicato dalla L.F.era contrario ad ogni logica di mercato; in tal senso, pur dichiaratamente consapevole della complessità dell’accertamento in questione, richiamò il contenuto della relazione scritta della Guardia di Finanza, donde emergeva che “per gli anni dal 2005 al 2009 [… ] i passaggi di licenze sarebbero stati effettuati – nei casi esaminati – ad un cifra media di euro 270.000″ e ritenne che ciò consentisse di affermare che la plusvalenza realizzata dalla contribuente fosse pari all’importo indicato nell’atto impositivo, prossimo a tale ammontare.

4. La sentenza della C.T.R. è stata impugnata da L.F. con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi; l’Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione al solo fine di partecipare alla discussione della causa. La ricorrente deposita memoria.

Considerato che:

1. Con il primo motivo, la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, I. 27/07/2000, n. 212, norma che prescrive la necessità che agli atti impositivi siano allegati i documenti in essi richiamati.

Deduce, in proposito, che, a fondamento della rettifica operata, l’avviso di accertamento faceva riferimento a diverse circostanze – quali alcune notizie riportate dalla stampa o da internet, il concorso per il rilascio di nuove licenze bandito dal Comune di Bologna o il fatto che, in epoca prossima al trasferimento della licenza, l’acquirente avesse acceso due mutui insieme con il fratello – che tuttavia non documentava, neppure per stralci significativi.

Si duole, pertanto, del fatto che la C.T.R. non abbia accolto il suo motivo di appello e abbia ritenuto l’avviso adeguatamente motivato.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia nullità della sentenza per omessa pronunzia sui propri motivi di gravame concernenti l’inadeguata motivazione dell’atto impositivo, l’errato ricorso al metodo induttivo di accertamento e la violazione della presunzione semplice di conformità tra valore di mercato accertato ai fini dell’imposta sul registro e prezzo incassato per la vendita sul quale calcolare la plusvalenza.

3. Con il terzo motivo è poi dedotta violazione degli artt. 7 d.lgs. 31/12/1992, 546 (codice del processo tributario, d’ora innanzi “cod. proc. trib.”), 2967 cod. civ. e 115 cod. proc. civ.; in particolare, la ricorrente si duole del fatto che la C.T.R. abbia fatto ricorso a poteri istruttori che, pur spettandole d’ufficio, non la legittimavano a sopperire a carenze probatorie della pretesa erariale.

4. Con il quarto ed ultimo motivo, infine, la ricorrente denunzia violazione degli artt. 39 d.P.R. n. 600/1973, 2727 e 2729 cod. civ., deducendo che la C.T.R. aveva fondato la sua decisione sull’operatività di presunzioni sfornite del necessario carattere di gravità, precisione e concordanza, in particolare prendendo le mosse, come dato certo, dalla stima del valore medio di una licenza taxi come operata dalla Guardia di Finanza o da notizie giornalistiche; dati, questi, entrambi privi di scientificità e verificabilità.

5. I primi due motivi, attenendo a profili pregiudiziali all’esame del merito della pretesa, vanno esaminati con precedenza.

5.1 Il primo motivo è infondato.

Riproponendo una censura già formulata nel proprio appello incidentale, la contribuente assume che l’atto impositivo non avrebbe assolto ad uno degli obblighi previsti dall’art. 7, comma 1, l. 212/2000 a garanzia del proprio diritto di difesa.

In effetti, detta norma prescrive espressamente che negli atti dell’Amministrazione finanziaria siano indicati “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”, onde consentire al destinatario di valutare l’opportunità di impugnare l’atto impositivo specificando i motivi di doglianza; pertanto, quando l’atto impositivo richiama in motivazione altri atti o documenti, questi ultimi, ove non già noti al contribuente, devono essere allegati o, quantomeno, riprodotti nel loro contenuto essenziale (cfr. fra le altre Cass. n. 14723/2020; Cass. n. 32127/2018; Cass. n. 13321/2011; Cass. n. 18117/2004).

Nel caso di specie, l’avviso di accertamento notificato alla L.F.menzionava, senza corredarli della relativa produzione, i dati riportati su alcuni siti internet e articoli di giornale, nonché il bando di concorso adottato dal Comune di Bologna per il rilascio di nuove licenze.

Da tali atti l’amministrazione aveva inferito, come fatto sostanzialmente notorio, l’esistenza di un prezzo corrente per il trasferimento delle licenze assai più alto di quello dichiarato dalla contribuente.

5.2 E tuttavia, l’accertamento risulta fondato su ben altri elementi, tutti di natura presuntiva, che la stessa ricorrente ha indicato nel ricorso e rispetto ai quali essa ha potuto svolgere articolate difese, pienamente idonee a confutare la pretesa erariale.

Gli atti indicati, pertanto, non appaiono determinanti della volizione impositiva, se non per la parte in cui rappresentano un valore di mercato delle licenze per taxi, sufficiente a consentire al contribuente l’allegazione di circostanze di significato opposto.

Sul punto, pertanto, il ragionamento della sentenza impugnata sinteticamente espresso nell’affermazione di adeguata motivazione dell’atto impositivo “perché la contribuente si è ampiamente difesa” (pag. 8) – merita di essere condiviso.

5.3 Quest’ultimo rilievo conduce a ritenere infondata anche la seconda censura.

La ricorrente assume infatti che la C.T.R. avrebbe omesso di pronunziarsi sui tre motivi di appello con i quali essa aveva lamentato, sotto diversi profili, un difetto di motivazione dell’atto impositivo impugnato; nei termini appena ricordati, tuttavia, la sentenza d’appello ha disatteso ogni istanza avanzata in tal senso, ritenendo l’avviso di accertamento “più che sufficientemente motivato”, come dimostrato dalle stesse difese svolte dalla contribuente.

6. Anche il terzo motivo di ricorso non è fondato.

A sostegno della censura, la ricorrente invoca la giurisprudenza di questa Corte che ha escluso il ricorso, da parte delle commissioni tributarie, al potere di ordinare l’esibizione di documenti alla Guardia di Finanza, in quanto quest’ultima non è qualificabile come soggetto terzo, ma come vero e proprio delegato all’esecuzione dell’ordine dalla stessa amministrazione finanziaria, di talché l’ordine fungerebbe da rimedio surrettizio all’inerzia della stessa parte pubblica nell’assolvimento al proprio onere probatorio.

E tuttavia, la stessa giurisprudenza richiamata dalla ricorrente (v. ad es. Cass. n. 11485/2005) legittima il ricorso a detto potere officioso quando esso si sostanzia, come avvenuto nel caso di specie, nell’acquisizione di informazioni ritenute rilevanti ai fini della decisione.

6.1 Con riferimento all’ampiezza dei poteri istruttori del giudice tributario, in particolare, si è affermato che la richiesta di “relazioni ad organi tecnici dell’amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il Corpo della Guardia di finanza”, consentita dall’art. 7, comma 2, cod. proc. trib., non incontra il limite connesso all’architettura dispositiva del processo tributario quando gli elementi prodotti dalle parti conducano a risultati discordanti o, ancora, quando occorra acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità che non siano nella immediata disponibilità dei contendenti e che esulano dalla sfera di normale conoscenza o conoscibilità del giudice (Cass. n. 404/2016; Cass. n. 24464/2006).

È ben vero, pertanto, che – come sostenuto dalla ricorrente – l’art. 7 cod. proc. trib. dev’essere interpretato alla luce del principio di terzietà sancito dall’art. 111 Cost., il quale non consente al giudice di sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori; ma ciò non esclude che detto potere, quando si sostanzia nella richiesta di relazioni tecniche, possa essere esercitato in presenza di un’obiettiva situazione di incertezza, al fine d’integrare gli elementi di prova già forniti dalle parti.

In tal senso va qualificata l’iniziativa del giudice d’appello, esplicitamente volta (come emerge dalla motivazione della sentenza, a pag. 6) ad ottenere un approfondimento di carattere tecnico rispetto al materiale probatorio acquisito per le cure dell’amministrazione.

7. È invece fondato il quarto motivo.

In merito ai principi che governano il ricorso alla prova per presunzioni, il collegio non può che richiamare il fondamentale insegnamento reso da Cass. Sez. Un., n. 9961/1996, secondo la quale tale meccanismo rappresenta uno strumento normativamente concesso al giudice che permette di arrivare alla conoscenza di un fatto, per il quale non sia possibile dare una diretta dimostrazione, attraverso un procedimento logico che consente di desumerlo da un fatto noto; in tal senso, e quando – come nella specie – si fa riferimento alle cd. presunzioni semplici, non occorre che tra i due fatti sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile da quello noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità e in base a regole di esperienza (v. anche Cass. n. 21403/2021; Cass. n. 1163/2020).

L’apprezzamento del giudice di merito circa l’esistenza degli elementi assunti a fonte della presunzione, la rispondenza di questi ai requisiti di idoneità, gravità e concordanza richiesti dalla legge e la sussistenza di un rapporto causale improntato a tali criteri non è sindacabile in sede di legittimità, salvo che risulti viziato da illogicità o da errori nei criteri giuridici (Cass. n. 5279/2020; Cass. n. 29540/2019; Cass. n. 22656/2011).

7.1 Da tali principi, ripetutamente affermati, il giudice di appello si è discostato nei termini denunziati dalla censura oggetto di scrutinio.

Anzitutto, la sentenza impugnata non consente di comprendere quali siano i fatti noti dai quali è desunta la fondatezza della pretesa erariale.

La motivazione, infatti, esclude al riguardo qualsiasi rilevanza delle circostanze individuate dall’amministrazione; in particolare, il ricorso al credito bancario da parte dell’acquirente della licenza di taxi in data prossima al trasferimento viene espressamente definito come “non determinante” (pag. 8), mentre non vi è alcuna menzione degli ulteriori elementi indicati nell’atto impositivo (le stime emerse da articoli di giornale, il concorso bandito dal Comune di Bologna), quantunque riferiti ad epoca coeva all’atto di trasferimento.

Inoltre, la C.T.R. attribuisce rilievo a circostanze prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, compiendo un generico riferimento all’afflusso di turisti che notoriamente interessa la città di Firenze e ai dati emergenti dalla relazione della Guardia di Finanza, che, tuttavia, manca di valutare con il dovuto rigore, specie in considerazione del fatto che quest’ultima risulta redatta con criteri puramente empirici (in quanto riferiti ad una platea variegata di titolari di licenza, inidonea a far emergere valori univoci, come la stessa sentenza nota a pag. 7) ed è, in ogni caso, riferita ad un periodo di tempo successivo a quello nel quale la contribuente trasferì la propria licenza.

7.2 Sul punto, pertanto, conviene affermare il seguente principio di diritto: «in tema di imposte sui redditi, per la determinazione della plusvalenza realizzata con la vendita di una licenza per taxi, ove l’Ufficio si sia avvalso della prova a mezzo di presunzioni semplici ai sensi dell’art. 39, primo comma, d), del d.P.R. n. 600/1973, il giudice è tenuto a verificare l’esistenza degli elementi assunti a fonte della presunzione e la rispondenza di questi ai requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge e la sussistenza di un rapporto causale, nonché ad accertare che il fatto da provare sia desumibile da quello noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità e in base a regole di esperienza».

8. L’accoglimento del quarto motivo di ricorso comporta il rinvio della causa innanzi alla C.T.R. di Firenze che, decidendo in diversa composizione, si conformerà all’indicato principio di diritto, provvedendo anche a regolare le spese della presente fase.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigettando i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale di Firenze in diversa composizione.

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