Le cifre sono incoraggianti: secondo le stime di CNA, nel 2023 il valore dell’Export per l’Agroalimentare italiano arriverà a sfiorare i 70 miliardi. Un trend in crescita nonostante gli anni di pandemia e la guerra in Ucraina che ha stoppato le esportazioni verso l’ampio bacino del mercato russo. Tutto sembra andare a gonfie vele quindi: se nel 2010 l’export valeva 28,1 miliardi di euro, nel 2022 anno di ripresa post Covid è arrivato a 60 miliardi e ci sono ancora margini di crescita.
Un mercato che vede il Veneto (15,4%), assieme a Lombardia (16,2%) ed Emilia Romagna (15,9%) coprire quasi la metà delle esportazioni nazionali, con un 47,5%.
L’Agroalimentare veneto cresce del +13,7% nel 2022, passando a 9 miliardi di euro: i prodotti agricoli, alimentari e le bevande venete arrivano sempre più lontano. Per cibi e bevande, una crescita del +7% all’anno; il vino in particolare ha segnato una performance di eccellenza superando il 35% per esportazioni dell’ammontare complessivo e doppiando il Piemonte, secondo solo al Trentino-Alto Adige per quanto riguarda il valore delle aree vitate con 140mila euro per ettaro contro i 267mila euro appunto per il Trentino.
Ma nonostante l’ottima salute del settore, la proiezione internazionale della filiera è ancora inferiore al potenziale e l’Italia si posiziona al 5^ posto tra i Paesi europei per esportazioni agroalimentari.
Quali gli impedimenti ad una maggior competitività? Primo tra tutti un fenomeno relativamente recente: l’Italian Sounding, vale a dire l’utilizzo di denominazioni, riferimenti geografici e immagini che evocano i prodotti italiani su prodotti commercializzati all’estero che in realtà di italiano non hanno praticamente nulla.
Secondo le stime di CNA Veneto, questo fenomeno che nel mondo copre un giro d’affari pari a 79 miliardi di euro e corrisponde ad una perdita di 9 miliardi sull’attuale export Agroalimentare, per prodotti quali il Grana Padano e il Prosecco. Se l’Italian Sounding si trasformasse in fatturato, il potenziale di export nazionale sarebbe di circa 130 miliardi.
«Le esportazioni di prodotti alimentari veneti e italiani continuano a crescere – commenta Mirco Froncolati, Presidente CNA Agroalimentare e Ristorazione Veneto –. Se riuscissimo ad incidere sulle problematiche legate alla contraffazione e a questo fenomeno, potremmo farle volare. Dal lato della domanda interna, tuttavia, il dato che preoccupa di più il settore Agroalimentare è quello dei consumi delle famiglie venete che secondo le stime nel 2023 saranno in una fase di stallo con una crescita di appena + 0,7%, un significativo rallentamento rispetto al 2022 (+5,1%). La spesa per alimentari e bevande delle famiglie ha subito una contrazione del -3,4% tra il 2021 e il 2022. La nostra regione perde su questo lato il vantaggio rispetto alle altre Regioni, e se a ciò aggiungiamo che le aspettative di inflazione salgono in modo significativo (in rialzo del +5% nei prossimi 12 mesi secondo la Bce), è più che mai necessario supportare le categorie di imprese Agroalimentari che si rivolgono esclusivamente al mercato interno con una politica industriale di lungo respiro.»
«L’Italia è la prima nazione per biodiversità – aggiunge Catia Olivetto Presidente CNA Dolciari e Panificatori Veneto – e il Veneto primeggia per la varietà e la ricchezza di prodotti DOP e IGP. La Dop economy veneta vale 4.817 milioni, e con 89 prodotti ha un peso del 48% sul settore Agroalimentare regionale, un valore che va oltre il doppio rispetto alla media nazionale (21%). Per continuare a crescere dobbiamo però strutturare gli accompagnamenti verso l’export più a misura di micro e piccola impresa. I dati ci mostrano la loro grande abilità a superare le crisi, ma siamo ancora lontani dal modello tedesco. A nostro avviso, due sono le problematiche da risolvere il prima possibile per accorciare il gap. La prima: semplificare le procedure per gli impianti fotovoltaici per le PMI, poiché nel nostro territorio secondo i dati della Regione Veneto sul 2019 – ultimo rilevamento disponibile – la dipendenza energetica è pari al 92,3%, lontana anche dalla media nazionale del 73%. La seconda, contrastare in maniera strutturata le pratiche commerciali sleali che riguardano la filiera Agroalimentare così da salvaguardare il nostro Made in Italy e recuperare parte delle risorse che vengono disperse a causa di questi fake food. Come CNA stiamo chiedendo l’apertura del tavolo di concertazione.»