Dopo una lunga attesa i costi di riferimento del trasporto merci su strada sono stati pubblicati sul sito del ministero. Come si potranno usare? Queste alcune ipotesi.
Sul sito del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti è stato finalmente pubblicato il decreto direttoriale n. 206, vale a dire firmato dal direttore generale del trasporto stradale Vincenzo Cinelli, con cui si dispone la pubblicazione dei costi di riferimento per l’attività di autotrasporto merci.
Cosa contengono i costi trasporto
Ci sono due tabelle nelle quali, relativamente a quattro classi di veicoli (con massa fino a 3,5 ton, da 3,51 a 12, da 12,1 a 26, oltre 26) vengono individuate quattro voci di costo, da associare a una “forcella di valori minimi e massimi” e distribuite su tre sezioni:
- la prima è relativa ai veicoli e include quelli a motore, i rimorchi e semirimorchi e individua i costi di acquisto, manutenzione, revisione, pneumatici, bollo, assicurazione e ammortamento;
- la seconda annovera altri costi e tra questi inserisce quello del lavoro, distinguendo i costi relativi alla retribuzione, alle trasferte e agli straordinari, quelli per l’energia, vale a dire per l’acquisto del carburante, qualunque esso sia;
- la terza riguarda invece i costi di pedaggio, al netto dei rimborsi previsti dalla normativa.
Nella prima tabella questi valori sono calcolati nel complesso, nella seconda vengono spalmati su ogni chilometro che un veicolo copre, ipotizzando che alla fine dell’anno ne percorra 100 mila. È ovvio che se i chilometri sono più o meno potrebbero variare anche i costi di riferimento, così com’è ovvio che rispetto ai veicoli di massa complessiva fino a 3,5 tonnellate, utilizzati per lo più nel trasporto di ultimo miglio in ambito urbano e con percorrenza inferiore ai 100 Km, la remunerazione del servizio potrebbe essere riferita al tempo che impiega per portarlo a termine.
In ogni caso – e questo è scritto nel decreto – tutte queste indicazioni numeriche, tutti questi livelli di costi non hanno carattere cogente, vale a dire non sono obbligatori. Sono piuttosto un riferimento, un’indicazione chiara inviata al mercato e da utilizzare nel corso delle trattative.
Un percorso alquanto tormentato
Questo è quanto. Anche se è evidente che se la partita fosse tutta qui, non si capirebbe perché è stata così lunga e tormentata. Peraltro, tutte le vicissitudini, le tante sentenze, i vari pareri che hanno condotto alla ripubblicazione dei costi sono ripercorsi nei preamboli del decreto (quelli che iniziano con l’espressione «considerato» o «visto»). Decisiva, al riguardo, la sentenza della Corte costituzionale (nel marzo 2018) che li aveva sdoganati, a patto che li calcolasse un soggetto terzo. E sulla base di tale indicazione il ministero dei Trasporti aveva affidato l’elaborazione alla società di consulenza Ernest&Young. Ma anche l’Antitrust, inizialmente restia, aveva poi riabilitato i costi, giudicando corretta la metodologia di calcolo che li ispirava, vale a dire quattro voci di base, con una forcella di valori.
A cosa serviranno?
Rimane la domanda di fondo: a cosa serviranno? Se ci si attiene alla loro definizione, come già detto dovrebbero servire a orientare le trattative del settore, a tenere l’asticella della contrattazione tra un minimo e un massimo. Senza però disporre un obbligo in tal senso. E se non c’è obbligo, non c’è neppure sanzione. Certo è che un domani, magari in una vertenza, un tribunale che si trova con un calcolo dei costi già predisposto a livello pubblico sarebbe fortemente indotto a prenderlo in considerazione.
Ma forse la cosa più saggiamente pratica al riguardo l’ha detta il presidente di Unatras (Associazione tra le Associazioni del settore di cui Cna Fita fa parte) «Se i costi non avessero avuto alcun valore per quale motivo avrebbero scatenato così tanta contrarietà?».
Perché in effetti di contrarietà negli anni se n’è percepita parecchia. E fino a ieri. Anzi, proprio per smentire le voci di un freno posto dai committenti all’interno del ministero, la stessa ministra Paola De Micheli, lo scorso 2 novembre, aveva annunciato «di aver dato specifiche indicazioni al Direttore generale per il trasporto stradale e l’intermodalità di pubblicare già nei prossimi giorni i valori indicativi di riferimento dei costi di esercizio». E la stessa cosa, a distanza di più di venti giorni, l’aveva ripetuta in un altra “occasione pubblica”. A questo punto, per dimostrare la sua autorevolezza, non poteva soltanto annunciare, ma anche provvedere affinché chi di dovere pubblicasse. Ed è quanto effettivamente è avvenuto mettendo così le “mani avanti” su un tema decisivo, quello che potrebbe fornire maggiore pregnanza ai costi di riferimento, essendo anche quello indicato dalla Corte di Giustizia europea che di fatto bocciò i vecchi costi minimi. Perché è chiaro che chi accetta tariffe inferiori a quelle di riferimento per conquistare un cliente sta facendo un’azione commerciale mirata, seppure a tempo limitato, ma chi in quanto parte debole di un rapporto finisce con il subire una tariffa che non ripaga i costi, a quel punto si trova davanti due scenari: il primo è quello che «è altamente probabile che quel vettore andrà a comprimere un costo essenziale come, ad esempio, quello necessario a sostituire gli pneumatici, seppure siano gravemente consumati». E a quel punto metterebbe a repentaglio la propria e l’altrui sicurezza, ma al tempo stesso si verrebbe a mettere proprio in quella condizione sgradita all’articolo 41 della Costituzione, secondo cui un’impresa può nascere e morire liberamente e concorrere con le altre senza vincoli di sorta, ma non può svolgersi «in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana».
Il secondo è quello per cui «I costi indicativi e il rispetto del principio di responsabilità solidale da parte dei committenti, non può prescindere dal rispetto di giusti tempi di consegna, sono fattori indispensabili per la tutela della sicurezza stradale». È il riferimento ai «giusti tempi di consegna» ad aprire scenari futuri: se sono troppo compressi, se non tengono conto dello stato di alcune infrastrutture, se sono calcolati al di fuori della realtà, inducono chi li subisce a travalicare la soglia della legalità, a guidare più del dovuto, a manomettere un tachigrafo. E chi lo ha «indotto» a tanto non può che essere solidalmente responsabile. Insomma, la partita è aperta e il dibattito potrebbe diventare interessante.