Il 9 aprile 2020 la rivista online “Scienza in Rete” riporta i risultati di una ricerca del matematico Giovanni Sebastiani, dell’Istituto per le Applicazioni del Calcolo “Mauro Picone” del Cnr, secondo cui le città dove finora è stato rilevato il maggior numero di contagi sono situate lungo le principali autostrade italiane, tra cui spiccano la Milano-Napoli, la Torino-Piacenza, la Bologna-Ancona e la Modena-Bolzano. Inoltre, una delle due provincie con la più alta percentuale di contagiati rispetto alla popolazione è Piacenza, che è all’intersezione della Milano-Bologna con la Torino-Brescia. L’autore scrive che “da questi dati, viene naturale formulare l’ipotesi che il virus abbia viaggiato lungo l’autostrada”. Subito dopo, Sebastiani aggiunge: “A questo proposito, sarebbe interessante determinare con che frequenza sono stati colpiti dal virus gli autotrasportatori”. Questa però è solo una correlazione, che si può invertire affermando che “le province maggiormente colpite hanno capoluoghi con grande popolazione ed è naturale che si trovino lungo direttrici autostradali con elevato flusso”. L’autore aggiunge quindi ulteriori elementi alla sua ipotesi.
Dopo avere analizzato il numero di contagi rilevati in alcuni giorni di marzo, Sebastiani nota che “passando dal 6 al 25 marzo, seppure si siano aggiunte delle province, esiste un nucleo di province comune a tutte e cinque le date, che contiene quelle di Piacenza e Cremona”, concludendo che “questo nucleo di province presenta per costruzione un’evoluzione dell’epidemia rappresentativa di quella su scala nazionale. Il fatto che queste province si trovino lungo la E70 e la E35 fornisce supporto all’ipotesi formulata. Osserviamo infine che il 6 marzo, prima del secondo lockdown a livello locale (decreto 8 marzo, entrata in vigore 9 marzo), c’era già un focolaio lungo la costa adriatica, connesso a quello lombardo dalla E35 e E55, e infatti il decreto riguardava anche la provincia di Pesaro Urbino”.
In un’intervista pubblicata dal Corriere della Sera il 12 aprile 2020 (domenica di Pasqua), Sebastiani torna sull’ipotesi che il coronavirus potrebbe essersi spostato sul camion, spiegando che la ricerca mostra che le provincie più colpite dal 6 al 25 marzo sono lontane tra loro, ma nello stesso tempo sono unite dalle principali arterie autostradali, aggiungendo che è meno probabile che il coronavirus abbia viaggiato su autovetture private, anche se non chiarisce il perché.
C’è però una vera, fondata e dimostrata considerazione da fare sugli autotrasportatori: quelli che operano sulle lunghe distanze (e che quindi potrebbero essere portatori del virus secondo il Sebastiani) hanno un elevato grado d’isolamento sociale, almeno quando sono in viaggio. Dormono da soli in cabina in parcheggi dove nelle ore notturne c’è scarso affollamento e anche i contatti al carico e allo scarico sono sporadici. Inoltre, proprio a marzo sono stati ulteriormente ridotti perché le aziende destinatarie dei trasporti hanno attuato provvedimenti che hanno isolato ulteriormente i camionisti.
In pratica, le occasioni di contatto di un autista di linea sono solo il pranzo e la cena, la sosta notturna e le operazioni di carico e scarico. Considerando anche lo scarso numero dei camionisti che svolgono viaggi su lunghe percorrenze autostradali rispetto alla popolazione totale, è difficile pensare che l’autotrasporto sia un veicolo importante di contagio. Ovviamente non mettiamo in dubbio la correttezza della ricerca dal punto di vista matematico, ma probabilmente le formule non considerano le modalità operative e lo stile di vita degli autisti. Insomma, l’ipotesi del camionista portatore del coronavirus è ancora tutta da dimostrare, possibilmente con argomenti più solidi (sul Corriere la giornalista parlava di “teorema” ma i teoremi non vanno dimostrati ??? A noi non pare che la dimostrazione sia stata compiuta, attendiamo lumi).