In attesa del Dl Sostegni. CNA: “Soluzioni per non penalizzare le solite categorie
Il passaggio lo scorso 15 marzo di gran parte delle regioni italiane – tra le quali il Veneto – in zona rossa non sembra produrre gli effetti sperati. Dopo una settimana di “chiusura” la percezione è che sia cambiato poco o nulla dalle precedenti fasce di colore. La chiusura ha interessato solo alcune categorie che forse sono tra le più penalizzate: oltre alle scuole, con un grave impatto sull’operatività lavorativa delle famiglie impossibilitate a portare avanti i loro impegni e con le conseguenze note per quanto riguarda il disagio formativo degli studenti, sono rimasti chiusi i negozi di alcune categorie merceologiche – di fatto abbigliamento, scarpe, oggettistica e altro – i ristoranti ed i bar che sono già in sofferenza da un anno, e gli acconciatori ed estetisti che in questi giorni stanno palesando la loro protesta ribadendo come siano in grado di operare nel pieno rispetto delle normative igienico sanitarie anti Covid ed in piena sicurezza.
CNA sollecita il Governo ad una revisione del meccanismo legato ai ristori, senza la quale meno di un quarto delle imprese che hanno subito riduzioni del fatturato nel 2020 potrà accedere ai benefici con un importo inferiore ai mille euro. Un risultato inaccettabile per gli artigiani e per le piccole imprese schiacciate da una crisi economica senza precedenti. Lo scostamento di bilancio è stato approvato dal Parlamento tre mesi fa e ancora ancora non c’è il provvedimento sui ristori. La confederazione ribadisce ancora una volta la necessità di politiche certe e di interventi tempestivi, calibrati sul tessuto degli artigiani e della piccola e media impresa, che stanno soffrendo da oltre un anno e per le quali questa ulteriore zona rossa prolungata sino a dopo le festività Pasquali, si potrà tradurre in definitiva chiusura per centinaia di realtà.
«Siamo lieti che finalmente sia superato il codice ATECO – afferma Matteo Ribon, Segretario CNA Veneto. Auspichiamo che non resti tuttavia la soglia del 30% di perdita dei fatturati che comporterebbe l’esclusione del 75% delle imprese dai ristori e che venga ampliato il periodo di riferimento oltre la media del singolo mese. Ma ciò che più di tutto serve ora è un iter parlamentare più spedito».
Infatti da alcune simulazioni effettuate dal Centro Studi della Confederazione sulle contabilità di 12 mila imprese con fatturato fino a 5 milioni di euro si evidenzia come nel 2020 81,2% delle imprese abbia registrato diminuzioni del giro d’affari, ma solo una impresa su quattro ha accusato una perdita superiore al 33% rispetto all’anno precedente. Secondo questi calcoli va da sé che oltre il 75% delle imprese, pur avendo registrato una significativa flessione del fatturato spesso non lontana da un terzo, sarebbe quindi escluso dai nuovi indennizzi. É necessario, quindi, ampliare il periodo sul quale commisurare gli indennizzi e concentrare il ristoro soprattutto sulle imprese più piccole maggiormente colpite dalla pandemia.
L’altro importante messaggio che deve passare riguarda le chiusure che non possono sostituire l’assunzione di comportamenti corretti di responsabilità sociale. «Le impennate dei contagi determinano azioni restrittive – conclude il Segretario Ribon -. Se vogliamo affrontare questa ultima fase serve un sistema di coesione sociale grazie alla quale non si vada a colpire sempre determinate strutture. Dobbiamo cercare di ragionare in maniera trasversale: tutti ci rendiamo perfettamente conto che la dinamica di contagio degli ultimi mesi è legata al ricordo dello scorso anno, ma va cercato un criterio valido per tutti i contesti sociali e per le attività produttive, un criterio per cui gli ambiti di sicurezza e di presidio vengano rispettati da tutti. É inutile chiudere tutte le attività mentre nei contesti sociali le situazioni esplodono. Questo crea ulteriori difficoltà anche dal punto di vista delle restrizioni.»