Covid e coprifuoco locali, Horeca: “Chiediamo un nuovo patto sociale tra lo Stato e il nostro settore”
Disposti al sacrificio sì, ma non a senso unico. Sono i titolari dei locali e dei servizi di ristorazione CNA, stoppati in orario serale dal coprifuoco disposto con il Dpcm 24 ottobre. Attività in affanno qui come in tutta Italia, dato che il grosso del fatturato si registra proprio con i servizi di cene e aperitivi, ma per le quali la serrata anticipata, almeno da un certo punto di vista, rappresenta l’ultimo dei problemi.
«Il guaio non è tanto dover tenere chiuso la sera – spiega Mirco Froncolati, Portavoce Horeca CNA Veneto, oltre che titolare del ristorante Gimmi di Schio (Vi) e della Gimmi Banqueting e Events -, e lo dico da proprietario di un ristorante che lavora solo a cena. Siamo cittadini prima che esercenti, e se servono sacrifici per un’emergenza di ordine superiore rispetto agli interessi economici siamo qui per fare la nostra parte. Ma questa decisione ci è piovuta addosso senza una reale aderenza con quello che vediamo noi nella nostra quotidianità. Ci chiudono perché vogliono evitare gli assembramenti, ma abbiamo dimostrato con i fatti che non eravamo noi il punto critico nella catena del contagio. Ci chiudono in modo trasversale, senza considerare se potessero esistere categorie di locali più o meno critici. E soprattutto ci chiudono tutti, senza aver mai del tutto attivato sistemi di controllo per andare a colpire i pochi singoli locali che hanno trasgredito rispetto alle norme anti contagio».
Per CNA in questa fase non è il momento della protesta di piazza, ma della discesa in campo con un piano di proposte forti e chiare con cui pensare al sostegno della categoria soprattutto nei mesi a venire.
«Guardiamo in faccia la realtà – prosegue Froncolati -, a mio avviso è solo questione di tempo e torneremo a un nuovo lockdown sul modello di quanto disposto in Francia e Germania. Io sono d’accordissimo con i motivi che stanno spingendo molti colleghi a manifestare, ci mancherebbe. Ma sono anche realista nel pensare che, di fronte a questi numeri, non otterremo nessuna marcia indietro, anzi. Possiamo quindi adeguarci il prima possibile per promuovere servizi come asporto e delivery, ma questa è solo una soluzione tappabuchi e per giunta non per tutti. La verità è che resta una sola cosa da fare adesso, ed è portare alle istituzioni una voce compatta con quello che serve realmente alla categoria. Su tutto, un nuovo patto sociale tra noi e lo Stato. Ci chiedi sacrifici? Bene, devi contraccambiare con tempi certi e aiuti effettivi. Devi giustificare ogni decisione che riguarda la categoria con valutazioni di tipo scientifico e non emozionale. E soprattutto se mi chiudi oggi devi aiutarmi non per domani, ma come minimo per il prossimo anno. Un sostegno “una tantum” come quello previsto dal decreto Ristori è un aiuto per la chiusura, a patto che arrivi presto. Poi servono soluzioni strutturali a supporto del riavvio, come il prolungamento della cassa integrazione per i dipendenti e una riduzione del carico fiscale per tutto il 2021. Quindi non assistenzialismo fine a se stesso, ma incentivi per un graduale ritorno a una piena attività».